Scopri le due opere di Giotto
Livorno oltre allo splendido mare offre anche tante piacevoli e inaspettate sorprese, è questo il caso di due opere medievali, recentemente attribuite alla bottega di Giotto, e più probabilmente a lui in persona. Giotto di Bondone è sicuramente uno dei personaggi più importanti di tutta l’arte, che mutò radicalmente la pittura Italiana medievale, introducendo novità rivoluzionarie, allora ancora profondamente influenzata da iconografie bizantine. Le sue figure non erano più piatte e schiacciate alla superficie ma acquistavano una solida massa corporea e una resa più realistica, inoltre conosceva la profondità, tanto da caratterizzare i suoi dipinti per architetture che richiamano spesso a modelli classici (greco-romani). Giotto conquistò notevole fama e prestigio, avviando quel processo di emancipazione dell’artista, fino ad allora considerato un semplice artigiano. Fu anche architetto, suo il Campanile del Duomo di Firenze. Le due tavole sono ora al Museo Diocesano Leonello Barsotti in Via del Seminario 61, e noi abbiamo voluto raccogliere delle informazioni per voi dal Catalogo “Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto” di Burresi e Caleca e da alcuni articoli dei due studiosi.
Santo martire agostiniano e santo diacono (Stefano o Lorenzo)
Bottega di Giotto
Inizi del XIV secolo
Tempera e oro su tavola
77,5 x 44 cm, 78 x 43,5 cm
Livorno, Museo Diocesano Leonardo Barsotti
Ritrovato nella chiesa di San Jacopo in Acquaviva, le due tavole facevano parte di un polittico (probabilmente 5 pezzi), come si evince anche dai segni di una traversa che originariamente passava sotto la cuspide. Tali dettagli del supporto ligneo testimoniano che il santo agostiniano indicato dagli attributi come vergine, martire e sacro scrittore – già erroneamente identificato con San Nicola da Tolentino o san Guglielmo d’Aquitania trovava collocazione sulla destra mentre sul lato opposto stava il santo diacono. Probabilmente le tavole facevano parte di un polittico commissionato non per una chiesa episcopale ma per una diocesi agostiniana toscana di dimensioni più contenute. Forse per Santo Spirito di Firenze, una chiesa agostiniana che a metà del quattrocento venne restaurata su disegno del Brunelleschi e che però a fine secolo subì un incendio. E’ quindi probabile che questi due resti del polittico siano stati donati da Santo Spirito a chiese dipendenti (come appunto San Jacopo) e diventati due quadri da appendere al muro. Oppure, l’altra ipotesi è che in origine le tavole si trovassero a San Nicola di Pisa, un’altra chiesa agostiniana che visse il suo periodo di splendore intorno al 1310, in concomitanza con la discesa di Arrigo VII in Italia.
Le tavole che avevano subito un precedete restauro probabilmente nel corso del XVII secolo, sono state sottoposte a un delicato intervento di pulitura e consolidatura in occasione della mostra “Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto”. Restauri e lavaggi in epoche passate (si usava anche la soda) hanno asportato parte della pellicola pittoria e con essa le tonalità rosa, facendo acquistare al carnato un’innaturale tono verde. Le operazioni di restauro sono state condotte Eleonora Rossi della Soprintendenza pisana e sono durate quasi 2 anni. A seguito di ciò i due personaggi hanno riconquistato nuova leggibilità, rivelando una plasticità inedita per la pittura pisana dell’epoca e più vicina a certe figure della bottega giottesca.
Anche le fisionomie e il taglio degli occhi confermano secondo Caleca e Burresi la pertinenza ad un ambito fiorentino dei primi del 300. Il santo diacono trova qualche somiglianza d’impostazione con il San Lorenzo di Giotto conservato al musèe de la Fondation Jacquemart-Andrè, nonostante la posa frontale di quest’ultima figura. Il santo monaco, invece, mostra una sorprendente corrispondenza fisiognomica con il Sant’Eugenio del Polittico di Santa Reparata. Il taglio degli occhi fortemente allungati e un caratteristico rigonfiamento suboculare sono peculiarità di entrambe le figure.Inoltre, con il Polittico fiorentino ha in comune lo stesso tipo di punzonatore, le aureole a cerchi concentrici disegnati con la sesta e decorate con stelle, che avvalora ancora di più l’attribuzione alla bottega di Giotto. Difficile l’attribuzione, in quanto nella bottega di Giotto, come in quella di Cimabue, il lavoro che vi si svolgeva era di atelier. Inoltre mancando completamente documentazione in proposito, l’incertezza dell’autografia permane anche nei casi delle tavole firmate. Ma per Burresi e Caleca ci troviamo davanti alle opere giottesche più vicine, tra le ultime attribuzioni, al Giotto che già conosciamo.
Bibliografia:Cimabue a Pisa. La pittura pisana del Duecento da Giunta a Giotto. Catalogo della mostra (Pisa, 25 marzo 2005-25 giugno 2005), Mariagiulia Burresi, Antonico Caleca. Pacini Editore 2005.
Jacopo Suggi
Pro Loco Livorno